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venerdì 24 luglio 2015

TRINITAPOLI : Lo scambio di culle, «Chi sapeva ha taciuto»

«Non esistono dati documentali per confermare o smentire la possibilità di uno scambio tra le due neonate, tanto meno di identificare la dinamica dell’eventuale errore». Tradotta dal linguaggio burocratico, la relazione con cui il primario ostetrico di Canosa ha provato a ricostruire il caso delle neonate scambiate in culla 26 anni fa significa una cosa: la famiglia di Antonella, che ha chiesto 14 milioni di euro al Tribunale di Trani, e anche Lorena, che a Bari di milioni ne aveva chiesti 5 già a dicembre scorso, dovranno probabilmente essere risarcite sulla base del test del Dna. E dovranno essere pagate dalla Regione, dal momento che l’assicurazione stipulata dall’ospedale nel 1989 sembra sparita dagli archivi. Tuttavia la storia raccontata dalla «Gazzetta», che ha fatto subito il giro d’Italia, anche se verissima (c’è un test del Dna a provare lo scambio) ha ancora qualche punto da chiarire. Almeno nel suo incipit: è probabile - secondo chi sta seguendo il caso nelle Asl Bari e Bat - che qualcuno sapesse sin dall’inizio di quanto accaduto all’epoca nel reparto di Ostetricia di Canosa. Qualcuno che solo recentemente ha deciso di togliersi un peso dalla coscienza raccontando tutto alle due protagoniste, ormai diventate donne.Il test del Dna, condotto da un ospedale pubblico (l’Irccs di Castellana) e dunque considerato affidabile, ha infatti chiarito che Antonella Z. è in realtà figlia di Michele C. e Caterina P., e non di Loreta M. e Vito O., i genitori che quel 22 giugno 1989 l’hanno portata a casa salvo poi abbandonarla dopo un infanzia di privazioni e maltrattamenti. Una giovinezza dura, conclusa con l’adozione da parte di una coppia di Foggia: quelli che lei, ora, considera la sua mamma e il suo papà. Lorena C. non ha potuto fare il test del Dna perché i suoi genitori biologici, Loreta e Vito, sono ormai spariti da 10 anni. Al Tribunale di Bari ha offerto una semplice considerazione, un sospetto che ora andrà provato: il fattore Rh negativo del suo sangue è diverso da quello risultante dalla cartella clinica compilata all’ospedale di Canosa.

Ma come lo hanno scoperto? «Una foto su Facebook», dicono in entrambi i casi gli atti giudiziari. Una immagine che mostra due figlie di Loreta e Vito: Michele e Caterina si accorgono che Antonella è spiccicata a mamma Caterina, mentre Lorena - quella che credono loro figlia - assomiglia alla sorella di Antonella. Un incrocio micidiale, già in parte provato dal test del Dna. E di cui il giudice di Trani chiederà conto a una ostetrica all’epoca in servizio a Canosa. La donna che ha seguito entrambi i parti.

Come è potuto accadere? I documenti della Asl, ovviamente, non lo dicono. Ma mettono in fila una serie di coincidenze che potrebbero aver favorito lo scambio. Loreta e Antonella sono nate a 20 minuti di distanza l’una dall’altra. Le madri sono state ricoverate in reparto a distanza di mezz’ora. Le neonate, entrambe femminucce, avevano il braccialetto che si usa in questi casi, con un codice che differiva solo di una cifra (4D5547 per Loreta, 4D5548 per Antonella). Nate con il cesareo, le piccole erano state portate nel nido, che si trovava a un piano diverso rispetto a quello di degenza. Si può solo ipotizzare che qualcuno, al momento della «riconsegna» alle madri, abbia commesso un errore: e magari che qualcuno se ne fosse accorto ma non ha parlato, non fino a tre anni fa quando si sono mosse le prime pedine.

Della richiesta di Antonella, dei suoi veri genitori e del suo vero fratello (9 milioni: tre per la protagonista, due per ciascuno dei suoi parenti) si discuterà a Trani il 28 settembre. Del caso di Lorena (che di milioni ne ha chiesti 5), si sta invece già discutendo davanti al Tribunale di Bari, che ha fissato al 15 dicembre l’udienza conclusiva: ma è possibile che il giudice Spagnoletti dichiari il difetto di giurisdizione, perché la competenza su Canosa è del Tribunale di Trani.

Che le due ragazze vadano risarcite è fuori di dubbio, ma bisogna capire chi deve pagare. Non essendoci assicurazione e non rientrando la vicenda nei cosiddetti «fatti noti», non si possono utilizzare i fondi delle gestioni stralcio (le vecchie Usl). Dovrà essere chiamata in causa la Regione, per quella che si preannuncia una lunga e delicata battaglia.

di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
Fonte Gazzetta del Mezzogiorno

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